Allo spazio Alfieri gli uomini si contano sulle dita di una mano. Ma non doveva essere il luogo dedicato allo sguardo maschile sul femminile? Eppure a riempire la sala è un nutrito pubblico di donne.
Enigmista e semiologo, Stefano Bartezzaghi parla di donne, di parole, di luoghi comuni e tabù con la leggerezza del gioco, strappando risate tanto divertite – quanto amare – alle donne nel pubblico. Non vuole fare prediche, né invettive contro l’uso sessista della lingua italiana, ma anzi della lingua mostra tutta la sua capacità di adattamento, il suo essere camaleontica in un mondo che cambia a ritmi vertiginosi.
Di ogni parola si può ricostruire una storia, che a partire dalla radice passa attraverso le diverse accezioni che la parola assume a seconda dei momenti storici e sociali; per cui il “casino”, che per il piccolo Bartezzaghi era uno stanzino piccolo con tante cianfrusaglie dentro, per sua madre era ed è una parola impronunciabile. La storia della lingua, che è anche la storia del pensiero di un popolo, ci insegna che negli anni cinquanta “casino” non era affatto una parolaccia, anzi un eufemismo per rimpiazzare i volgari “postriboli” e “lupanari”, che divennero le “case chiuse” quando con la legge Merlin le case di tolleranza – in effetti – si chiusero.
Gli eufemismi che vanno a mascherare i tabù su sesso e prostituzione sono tantissimi e così dire di una donna che è “allegra” o “mondana” equivale a darle della “mignotta”, per dirla con la grazia che solo una Paola Cortellesi sa conferire al termine. La lingua è piena di eufemismi, ossia attenuazioni. Ma questa lingua forgiata a lungo da uomini cosa va ad attenuare, quale tabù? L’uso che una donna fa del proprio corpo, o l’uso che l’uomo fa del corpo della donna?
Se Roland Barthes, uno dei padri della linguistica, afferma che la lingua è fascista, d’altra parte la lingua non ha niente di statuario, è un organismo vivente; ed è l’uso che ne facciamo a determinare le sue connotazioni positive, negative, volgari, liriche o comiche che siano.
Ogni donna e ogni uomo hanno il potere di cambiare quello che della lingua – e dei suoi significati – non piace o non funziona più. Perché quando le parole smettono di riflettere il nostro pensiero, allora si svuotano, decadono. Quando avremo accettato a fondo e liberamente che il luogo della donna non è la casa, ma il mondo, allora anche le parole sapranno riflettere il cambiamento dei nostri pensieri, delle nostre convenzioni sociali e potremo dire di essere “donne navigate, donne di mondo” senza alcuna vergogna.
COSA CI ANDAVANO A FARE LE DONNE DI MONDO, A CUNEO?
LECTIO DI STEFANO BARTEZZAGHI
Allo Spazio Alfieri
La scuola di Linguaggi Fenysia
si trova a Firenze in via de’Pucci, 4