Beatrice e le altre: tutte le donne di Dante Alighieri

di Mara Temperelli per Fenysia Live

Se pensiamo alle donne di Dante, probabilmente il primo nome che ci viene in mente è quello di Beatrice Portinari, l’amore platonico del poeta, la figura angelica che accompagna le persone in Paradiso.
Ma in realtà, Dante era sposato con un’altra donna, il cui ricordo a volte viene messo da parte: Gemma Donati. Ed è proprio lei che ci accompagna nella visita guidata al Museo di Dante intitolata “Le Donne di Dante”, realizzata in occasione del festival “L’Eredità delle Donne”, dando voce alla situazione sociale del gentil sesso nella Firenze del tredicesimo secolo.

Capelli biondi, fronte spaziosa, sopracciglia sottili: Gemma incarnava perfettamente gli ideali di bellezza dell’epoca: “Non mi sono comunque serviti a nulla, son quasi caduta nel dimenticatoio“, come ripete spesso ironicamente durante la visita al Museo. Dante sapeva che avrebbe dovuto sposarla già nel 1285, ma il loro matrimonio non fu dei più felici.

Nella Firenze medievale, la partecipazione alla vita politica andava di pari passo con l’appartenenza alle corporazioni, che rappresentavano l’unione dei lavoratori facenti lo stesso mestiere.
Dante si iscrisse alla corporazione dei Medici e Speziali, “anche se non sarebbe stato in grado nemmeno di curare un’unghia incarnita“, afferma Gemma.

Le donne non venivano ufficialmente iscritte al registro delle Arti e dei Mestieri, anche se rappresentavano la forza lavoro maggiore all’interno della Corporazione dell’arte della lana, come descritto dalle formelle di Andrea Pisano conservate nel Museo. Tra le professioni delle donne medievali troviamo le fornaie, le parrucchiere, le cameriere, e le prostitute. “Le prostitute potevano esercitare solo nei sobborghi della città ed erano costantemente sorvegliate dalla polizia dell’epoca. Quelle che osavano avvicinarsi al centro storico venivano marchiate a fuoco su una guancia, per essere poi riconosciute in futuro“, racconta Gemma. Ma solitamente le donne erano relegate in casa, alla larga e nascoste dalla società del tempo.

Soltanto il culto della Madonna, figura femminile dominante, portò passi avanti nella società del tempo: ci fu la fondazione dei monasteri, dove le donne potevano vivere la loro vita spirituale in maniera indipendente. A dimostrazione di ciò, ci sono giunti 3 sonetti scritti da tale Compiuta Donzella, poetessa fiorentina che decise di darsi alla vita monastica per avere più libertà.

Le donne nobili, invece, lasciavano le loro case solo per andare a messa. Ed è proprio in chiesa che Dante conobbe Beatrice Portinari, quando aveva solo 9 anni. È bene sottolineare che non ebbe mai una vera relazione con lei, già promessa sposa a Simone de’ Bardi. Beatrice morì a 24 anni, e Dante, per far fronte al proprio dolore, iniziò probabilmente per questo motivo a cantarne le sembianze angeliche.
E Gemma? “Io me ne stavo a casa con i bambini, dovevo controllarlo anche quando andava a messa“. Dopo l’esilio del poeta da Firenze, Boccaccio racconta che Gemma riuscì a salvare i primi 7 canti dell’Inferno e a farli avere al marito. Si dice che vivesse a Lucca, e che poi si spostò a Ravenna nel monastero dove sua figlia scelse di diventare monaca, e i due non si videro mai più. Avevano anche loro dei problemi coniugali, come qualsiasi coppia normale. “E posso dirvi che ho lottato con tutta me stessa per avere indietro la dote, dopo l’esilio e la morte di mio marito“.

La dote era l’unica cosa che proteggeva la donna durante il matrimonio, e tra le cose previste al suo interno in alcune città, come Bergamo ad esempio, c’era anche il letto, che veniva dunque portato nella nuova casa direttamente dalla consorte. La camera da letto rappresentava uno degli ambienti più importanti nelle case medievali: vi erano cassoni su cui sedersi, e il letto veniva utilizzato per accogliere gli ospiti, per mangiare, per conversare, stando comunque attenti a non essere divorati dalle pulci o morsi dai topi.

Per avere la certezza della fedeltà della propria moglie, i mariti solitamente mettevano un diamante sotto il cuscino. Se durante la notte la moglie si accorgeva di questo dono, allora stringeva forte il suo uomo e non lo lasciava più. Io forse avrei dovuto prendermi il mio diamante e fuggire via, visto che non è grazie a Dante se vengo ancora ricordata oggi“.
In effetti, Dante non parla mai di Gemma nei suoi scritti, che hanno invece reso immortali figure femminili come Francesca, Pia, Costanza, Matelda e persino Piccarda Donati, cugina della stessa Gemma e strappata al monastero per un matrimonio imposto dai parenti.

Tuttavia, è lei che ci narra del ruolo della donna nella Firenze trecentesca, fu lei ad essere sua compagna di vita. È pur vero che se della moglie non scrive, con la sua famiglia Dante rimarrà sempre in ottimi rapporti, segno che a prescindere da quanto fosse forte l’intesa tra i due coniugi, una vera rottura non ci fu mai. Eppure, nel finale del canto quinto del Purgatorio, potrebbe essere nascosto un affettuoso omaggio del poeta a Gemma. Facendo parlare Pia dei Tolomei del suo matrimonio, infatti inerisce – se pur “nascosto”- il nome della moglie. “Ricorditi di me, che son la Pia: Siena mi fè, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma“.

 

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