Donne e sport: chi l’ha detto che le femmine non fanno goal?

di Alberto Cavallini per Fenysia Live

“Chi l’ha detto che le femmine non fanno goal?”: è proprio con questa domanda che Ilaria D’amico, celebre conduttrice sportiva di Sky sport, introduce un dibattito più che mai attuale, quello tra donne e sport, anche alla luce della grande prestazione della nazionale di calcio femminile ai mondiali tenutisi in estate in Francia, culminata con l’approdo ai quarti di finale, poi persi contro l’Olanda. Non è un caso infatti che l’apertura sia stata dedicata proprio alle azzurre, attraverso una breve videointervista ad Alia Guagni, terzino della nazionale e capitano della Fiorentina women e alla CT Milena Bertolini.

Al dibattito vero e proprio, svoltosi presso il Teatro della Pergola di Firenze in occasione dell’Eredità delle Donne, hanno partecipato Novella Caligaris, prima italiana a vincere una medaglia olimpica nel nuoto, Diana Bianchedi, in passato campionessa di scherma nonché coordinatrice della delegazione italiana per le olimpiadi invernali 2026 e Maurizia Cacciatori, ex pallavolista italiana.

Con lo sfondo delle imprese delle calciatrici italiane, quasi tutte ancora dilettanti e quindi prive di molte delle tutele garantite dal professionismo stesso, l’attenzione è stata posta ovviamente sulla questione della disparità di genere nello sport finendo poi per approfondire una specifica tematica, ovvero il complesso rapporto tra sportive e maternità. Come ha fatto notare Bianchedi infatti quest’ultima è in grado di cancellare un’intera carriera: sarebbero infatti solo 55 le donne olimpiche che, dopo avere avuto un figlio, sarebbero tornate ad allenarsi. Ad esempio, ha proseguito Bianchedi, sono molti i medici che sostengono come, dopo il lieto evento, le donne atlete dovrebbero diminuire il tempo da dedicare allo sport, al fine di preservare la salute fisica e psichica delle stesse.

Ma è veramente così? A parere della Calligaris, divenuta madre a ventiquattro anni, assolutamente no in quanto lo sport aiuterebbe ad affrontare meglio la situazione, sia a livello fisico che psicologico: basti pensare a Valentina Vezzali, medaglia d’ora ai mondiali di Lipsia nel 2005, a quattro mesi dalla nascita del figlio Pietro.

Un’ora di dibattito intenso in cui il tema è stato affrontato da più prospettive adottando anche vari esempi: a farli sono Ilaria D’Amico, capace di porsi come qualcosa di più di una semplice moderatrice, offrendo continui spunti dati dalle proprie esperienze personali e Maurizia Cacciatori. È proprio la campionessa di volley in particolare a fare riferimento a due episodi vissuti in maniera indiretta: da una parte quello della compagna di nazionale Simona Gioli che portò il figlio piccolo in ritiro, rafforzando così lo spirito di gruppo e la coesione della squadra e dall’altra quello di una compagna di club, non specificata per ragioni di privacy, costretta dalla società a lasciare il club una volta scoperto di essere incinta.

Questi esempi hanno permesso di ricollegarsi al tema del professionismo, considerato un’esigenza non solo per il calcio ma per molti altri sport al femminile, in quanto capace di introdurre una serie di norme a tutela di chi pratica uno sport ad alti livelli, che spesso viene inquadrato comunque come dilettante. Le dilettanti infatti sono escluse da ogni forma di lavoro autonomo e subordinato e ciò significa pertanto che i rapporti con le società sono spesso regolati da accordi economici dalle cifre non particolarmente elevate che raramente superano la durata di un anno.

L’evento è poi stato chiuso dal riconoscimento del ruolo fondamentale rivestito da donne come Sofia Goggia e Michela Moioli, facenti parte della delegazione, nell’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 all’Italia, nella speranza che sia davvero un momento indimenticabile per lo sport italiano. Sport italiano che, come affermato più volte nel corso della manifestazione, deve il suo prestigio non solo ai suoi atleti ma anche alle sue atlete che troppo spesso, in troppe discipline, vengono considerate non al pari degli uomini, come dimostrato dalla pioggia di critiche diffusesi quest’estate sui social nei confronti del calcio femminile.

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