INTERVISTA A ORIANA FALLACI

di Agnese Aloisio per Fenysia Live

Nel testo, le risposte di Oriana Fallaci alle domande sono frutto di citazioni tratte dai suoi libri.

Mi trovavo in un luogo “d’aspetto” all’aperto, dentro una cornice di ricordi e malinconici cipressi. Sfogliavo un libro, in attesa di una donna che avrei intervistato di lì a poco; poi d’un tratto, distolgo lo sguardo dal libro, alzo gli occhi e la vedo all’orizzonte: Oriana Fallaci sta arrivando. Un passo deciso, un passo stabile sul terreno ma leggero e disposto a cambiare direzione che sembra voler dire: la rotta può mutare ma non a causa di un inciampo. Ero entrata in una sorta di distrazione ispirata dalla grandezza di questa donna, ma il suo sedersi di fianco a me, provoca un sussulto emozionale reale che mi riporta sulla Terra. E qui tutto ebbe inizio.

 Oriana Fallaci, se lei è d’accordo proverò a chiamarla per nome con omissione volontaria di cognome, ma non so se ce la farò.
Mi guarda senza chiedermi il perché di questa mia incapacità (un’omissione dolosa per eccesso di ammirazione nei suoi confronti) e accenna ad un “sì” con la testa.

Le piace essere donna?
«Essere donne è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio»

Perché?
«Essere donne è una scuola di sangue: tutti i mesi offriamo a noi stesse il suo spettacolo odioso (…) una sfida che non annoia mai»

Difficile intervistare una donna come la Fallaci. Molto difficile. Fatico anche a guardarla negli occhi e, anche in questo caso, è lei a salvarmi da questo “perdermi”, perché se ne accorge in questi termini:

«Detesto le interviste. (…) un’intervista deve infilarsi, affondarsi, nel cuore dell’intervistato. E questo mi ha sempre incusso disagio. (…) in un’intervista, non sono le domande che contano ma le risposte».

Attraverso questa confessione era riuscita a spogliarmi da quella tensione che sentivo lungo tutto il corpo e aveva fatto anche più di questo: mi aveva anche tolto la responsabilità di quell’invasione fatta di punti interrogativi. Mi sentivo libera di chiederle anche sciocchezze, tanto la responsabilità ricadeva sulle sue risposte, visto quello che aveva appena detto! Il mio viso è invaso da un sorriso che mi spinge ad aprire la bocca:

Lei Oriana, crede nel destino?
Prima di rispondere sorride, forse nel fare caso al fatto di avermi dato anche il coraggio di chiamarla per nome, omettendo il cognome.

«Il destino è un fiume che nessuna diga arresta mentre fluisce al mare. Non dipende da noi. L’unica cosa che dipende da noi è il modo di navigarlo, combattere le sue correnti, per non lasciarsi trasportare come un tronco divelto».

Quindi non siamo trasportati da una corrente senza nuotare. Mi spieghi meglio però: il destino…
«L’amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, e si spreca il presente rendendolo un’altra occasione perduta».

L’ipotesi che Dio non esista, sembra non averla mai turbata più di tanto, sembra non coglierla di sorpresa, o forse dovrei chiederle: come vive lei l’effetto sorpresa? Cosa ne pensa delle sorprese?
«V’è un che di intimidatorio nella sorpresa, di illiberale, di addirittura brutale. Buona o cattiva che sia, essa costituisce sempre un’intrusione, un’imposizione, una prepotenza. Perché infrange un equilibrio e costringe chi la riceve a subirla (…). L’assalto inaspettato».

Chissà a cosa si riferisce lo sguardo leggermente arrabbiato che assume il suo volto, accompagnato dal tono vibrante della sua voce. Interrompe il mio pensare, ancora una volta come se avesse sfogliato le pagine dei miei pensieri:

«La cosa crudele, alla guerra, è che di solito si viene colpiti nell’attimo stesso in cui ci si illude d’avercela fatta».

Eccola una sorpresa scomoda. La guerra: etichetta di una serie innumerevole di eventi della vita in verità. Non credo che si riferisca solo alla guerra fatta attraverso l’impugnatura di un’arma. Ma questo mio pensiero lo nascondo bene o forse… è lei a scegliere di vederlo passare e lasciare che scorra.

Sono molto curiosa di sapere cosa ne pensa dei nostri giorni: che epoca è mai questa?
«Col progresso abbiamo distrutto l’unico strumento per combatter la noia: quel difetto squisito che si chiama fantasia. (…) Abbiamo distrutto il piacere di andar piano e attendere».

Quando subentra l’abitudine, diventa difficile accorgersi anche di cose molto gravi!
«L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo d’averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci».

Quindi le piacerebbe che alcune cose tornassero come in passato! Chissà che non facciano ritorno…
«La nostalgia del futuro che non verrà…».

Esattamente ciò che penso anche io, ma non avrei saputo descriverlo meglio di lei!

Per carità, il passato è ricco di nefandezze che si sono trascinate anche nel presente, però c’erano anche “eroi” mai più rivisti, credo. O forse si è trattato di singoli atti casuali rimasti nella storia per un colpo di fortuna?
«La fiaba dell’eroe non si esaurisce col gran gesto che lo rivela al mondo. Sia nelle leggende che nella vita, il gran gesto non costituisce che l’inizio dell’avventura, l’avvio della missione. Ad esso segue il periodo delle grandi prove, poi il ritorno al villaggio o alla normalità, poi la sfida finale dietro cui si nasconde l’insidia della morte sempre evitata. Il periodo delle grandi prove è il più lungo, forse il più difficile. E lo è perché, durante quello, l’eroe si trova completamente abbandonato a sé stesso, irresistibilmente esposto alla tentazione di arrendersi, e tutto congiura contro di lui: l’odio degli altri, la solitudine esasperata, il rinnovarsi monotono delle sofferenze. Ma guai se egli non supera quel secondo esame, guai se non resiste, se cede: il gran gesto che lo rivelò diventa inutile e la missione fallisce».

In effetti… sarebbe quasi come dire che Hitler rimane nella storia per i soli campi di sterminio, singolo atto “inversamente eroico” che rimane impresso nella storia, come atto finale di una lunga storia. Hitler, Oriana… che eroe al contrario è mai stato… eppure così acclamato e sostenuto?

«Gli esseri umani sono capaci di tutto».

Neanche a dire che aveva un’aria da buono! Non pensa che i cattivi siano evidenti?

Sorride scuotendo la testa e risponde: «Di rado i cattivi hanno un’aria cattiva».

Scacco matto.

Lei non sembra una donna che piange molto Oriana, è così?
«Non piango con le lacrime, non piango bagnato, ma senza lacrime piango più di quelli che piangono infradiciandosi il viso e la camicia».

Cosa suscita in lei il pianto, oggi come oggi?
Mi guarda, distoglie lo sguardo con un sospiro e dice:

«Il mio piangere senza lacrime riguarda (…) il cancro dell’Occidente, dell’Europa, e in particolare dell’Italia. (…) Il cancro del nuovo nazifascismo, del nuovo bolscevismo, del collaborazionismo nutrito dal falso pacifismo, dal falso buonismo, dall’ignoranza, dall’indifferenza, dall’inerzia di chi non ragiona o ha paura. (…) cancro per il quale non esistono chirurgie, chemioterapie, radioterapie. (…) Il cancro per il quale soffro assai più di quanto soffra per il mio».

Il suo?! Già…il suo. L’entusiasmo di parlare con questa donna mi ha fatto dimenticare la sua morte.

Torno alla realtà e riprendo a leggere là dove mi ero interrotta:

«Alekos, cosa significa essere un uomo?». «Significa avere coraggio, avere dignità. Significa credere nell’umanità. Significa amare senza permettere a un amore di diventare un àncora. Significa lottare. E vincere. (…) E per te cos’è un uomo?»

«Direi che un uomo è ciò che sei tu, Alekos.»

E questa è la risposta che la Fallaci in persona dà ad Alexandros Panagulis, suo grande amore: colui che aveva dato titolo al libro che avevo fra le mani: Un uomo di Oriana Fallaci.

CIMITERO DEGLI ALLORI
Oriana Fallaci, la fiorentina pura

Con Valeria Palumbo, Giornalista, scrittrice e storica delle donne

DOMENICA 23 SETTEMBRE

Primo turno: ore 10:00 – 11:00
Secondo turno: ore 11:30 – 12:30

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SABATO 22 E DOMENICA 23

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PH CREDIT: AGNESE ALOISIO

La scuola di Linguaggi Fenysia
si trova a Firenze  in via de’Pucci, 4